Nelle belle giornate di sole le mie tartarughe (d'acqua) escono dal laghetto e si arrampicano sugli scivoli di legno e sulle pietre calde a godersi il tepore.
Ho preso l'abitudine, da qualche tempo a questa parte, di uscire in giardino ogni ora e camminare dai cinquecento ai mille passi; perché lo dice il Fitbit — e io del Fitbit mi fid(av)o — e perché pare faccia bene. Anche e soprattutto a livello mentale: staccare dalle incazzature della vita quotidiana, anche per pochi minuti, aiuta ad arrivare a sera senza doversi macchiare le mani del sangue di qualcuno.
Durante le mie passeggiate, osservo gli eterogenei comportamenti di questi curiosi animaletti. Alcuni mi ignorano, continuando ad allungare le zampette il più possibile verso direzioni opposte, quasi a sforzarsi di incamerare più calore possibile. Altri si dileguano in acqua al primo movimento sospetto.
Nel mezzo tutto un ventaglio di reazioni più o meno buffe e frenetiche, scandite da virtuali distanze di sicurezza che si allungano e si contraggono a seconda della mia posizione nell'Universo.
Sempre la stessa scena, ciclica, come nel giorno della marmotta. Solo che accade ogni ora.
Se fossi una di loro, una delle tartarughe coraggiose intendo, penserei a quanto siano stupide tutte le altre.
Questo penserei. Perché è poco pratico e poco logico.
Poi le guardo — quelle che non scappano — e sono lì, pacifiche, imperturbabili, serene. Sembrano quasi sorridere (e forse lo fanno davvero) per via di quei curiosi giochi cromatici che corrono su tutta la loro pelle, e che le fanno sembrare truccate per una importante cerimonia tribale…
Insomma, si rilassano e se la godono.
E se ne fregano completamente se le altre fuggono o rimangono. C'è il sole e conta solo quello.
Ecco, vorrei avere la spensieratezza delle tartarughe.