Fóttitti!

Fin da piccolo mi hanno insegnato ad ascoltare prima di aprire bocca.
Non sempre lo faccio naturalmente, perché sono umano, istintivo e, soprattutto, italiano. Quindi ben lontano dall'essere perfetto. Ma, quelle rare volte che mi ricordo, ci metto tutta la mia buona volontà. E solitamente ne ricavo qualcosa di utile.

Un'altra cosa che mi hanno insegnato è comprendere gli errori che commetto quando qualcuno me li fa notare, ringraziarlo, memorizzarli ed evitarli in futuro.

Ho imparato a scrivere "qui" e non "quì" a 12 anni.

Mi trovavo in ospedale e alle 17:00 le infermiere passavano a riempire le tazze con caffè d'orzo. Mi piace il caffè d'orzo, mi è sempre piaciuto ma quello era terribile.
Siccome mi ero stancato di ringraziare e rifiutare ogni volta, anche perché magari qualche volta sonnecchiavo e mi ritrovavo il bicchiere pieno, ho scritto su un foglio "Qui niente caffè, grazie". Accentato naturalmente, tutto maiuscolo e in grassetto.

Il mattino dopo, è passato il professorone in visita ai pazienti con il suo nugolo di apprendisti con imprinting da papere di Lorenz e mi ha bacchettato: «Qui si scrive senza l'accento!».

Al momento ho mi sono detto «Ma che cacacazzi, che mi frega di un accento? È il messaggio che conta».

Poi, però ci ho ripensato, per quanto mi sia sentito umiliato di fronte agli altri pazienti lui aveva ragione, e io torto. Non l'ho mai ringraziato.

Ho imparato a scrivere "po'" e non "pò" grazie al mio amico Lucappì alcuni anni fa. Mi ha anche spiegato il perché, dal momento che non ci avevo mai pensato. Sempre lui mi ha insegnato a scrivere "qual è" al posto di "qual'è". Per questi insegnamenti, e per tantissime altre cose per cui non mi basterebbe un intero blog, gli sarò sempre grato.

"Sì" e "perché" invece li ho scoperti da solo, pochissimi anni fa. Mi sono domandato «perché li trovo scritti in entrambi i modi? Che strano». E infatti uno era sbagliato.

Il mio italiano è ben lontano dall'essere perfetto, ci sono molte espressioni che evito perché non so usare bene, parecchi termini che mi sfuggono quando ne ho bisogno, ho sempre Google aperto sulla pagina dei sinonimi e controllo in continuazione la sintassi di molte parole perché non sono certo di usarle correttamente o di mettere tutte le consonanti nel posto giusto e nel giusto numero. Non so ancora utilizzare bene le virgole all'interno delle frasi e forse non ci riuscirò mai.
Però, finché avrò fiato, farò del mio meglio per migliorarmi. Continuamente. E, nella mia infinita presunzione, per migliorare le persone che ho intorno, perlomeno quelle per cui ritengo valga la pena. State certi che, se non mi frega di qualcuno, può tranquillamente morire tra mille sofferenze, mentre sorseggio una birra ghiacciata e gli scatto foto buffe.

Essere corretti è estremamente fastidioso, specialmente in pubblico. Non so bene come mai, forse perché sottintende la presenza di una certa ignoranza e a nessuno di noi piace mostrarsi ignorante?
Quindi la reazione istintiva è mandare al diavolo chi ce lo fa notare, oppure buttare lì una battutina (spesso reiterando l'errore) tanto per aggirare il problema e scrollarsi di dosso quella sensazione sgradevole.

Non c'è un modo gentile per dire a qualcuno che ha sbagliato. Ho provato con battute, con tanti smile, cuoricini, bacini. Ho provato con tono neutro. Niente, il 90% degli interessati si incazza. Solitamente va a spulciare qualcosa che ho scritto in precedenza nella speranza di trovare un errore (capirai, sai quanti ne commetto?) e rinfacciarmelo.1Buona parte del restante 10% non dice niente, mi conosce e mi tollera con infinita pazienza.

È un'autodifesa che ci mette in una posizione aggressiva invece di ammettere semplicemente lo strafalcione e aggiungere un «grazie, non lo sapevo» o «grazie, lo sapevo ma ero distratto», oppure maledire il correttore perché è sempre un ottimo capro espiatorio.

Lo so, la soluzione socialmente più accettabile sarebbe quella di farmi i cazzi miei e non rompere le palle agli altri. Sicuramente sarebbe una scelta che la maggioranza delle persone preferirebbe.
È più forte di me, non posso davvero accettare che uno abbia la soluzione a un problema davanti agli occhi e faccia di tutto per ignorarla. In particolare se tale soluzione riguarda non più di tre o quattro semplici parole della nostra (amata?) lingua. A maggior ragione non lo accetto dai laureati.

Se il mio gatto sale sul divano — e non può salire sul divano2Può farlo, lo fa e, se solo dico «Ah!» le prendo, ma è solo un esempio. — e lo caccio per tre giorni di fila, al quarto impara. Mi manderà sicuramente a fare in culo nella sua miagolante lingua felina, ma non ci proverà (quasi) più. Se non altro non si farà beccare quando io sono nei paraggi.

Ecco, io non chiedo di essere gentili, ringraziarmi o non apostrofarmi con i peggiori epiteti, tanto quelli me li becco comunque per tante altre ragioni.
Sfanculatemi pure ma imparate, dimostrate a me e, soprattutto, a voi stessi che c'è ancora speranza. Perché le cazzate che fate voi, inevitabilmente, le faranno anche i vostri figli. E, oggi come oggi, la situazione in Italia non è delle più rosee.

Abbiamo perso il senso civico, cerchiamo perlomeno di conservare un minimo di apparenza culturale!

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