Un maestoso esemplare di tigre siberiana, è apparso in pieno giorno ai margini del villaggio di Pokrovka, Siberia sud orientale. Era uscito dalla tajgà, la boscaglia, e s'era accovacciato mite e come in una sua misteriosa attesa. Dal villaggio hanno cominciato a sbattere ferraglie per spaventarlo e ricacciarlo da dove veniva. Ma la tigre immobile, come se avesse intuito che quello era un posto perbene. Infatti poi da Pokrovka hanno chiamato un centro specialistico di Vladivostok per la salvaguardia dei selvaggi scampati al grande massacro prodotto dai bracconieri, l'inquinamento, la deforestazione.
Hanno scoperto che la tigre era malata. Resta il mistero sulla fiducia del gigantesco predatore, tre metri di lunghezza e un metro e mezzo di coda, negli esseri umani. Adesso lo stanno curando appassionati zoologi i quali, come missionari scientifici, purtroppo si occupano in genere, di animali esotici o in via di estinzione come le tigri siberiane.
Degli animali domestici, invece, tipo il mio gatto, di mezzo metro per una ventina di centimetri di coda, si occupano multinazionali che introitano miliardi sulla loro nutrizione e veterinari di massa. Non ho potuto raccontare la storia della tigre di Pokrovka al mio Slippo (il nome è da 'sleep', 'sonno', casalingo com'era , dormiva sempre, e Pippo, come lo chiamavo da piccolo): con quel che gli è accaduto ne avrebbe invidiato la sorte. Infatti anche lui s'era ammalato, ma ha avuto cure molto più disinvolte, anche perché i gatti non sono in estinzione, anzi, si moltiplicano e sono un grande affare economico. Slippo aveva quattordici anni, età avanzata, ma ben portata. La sua storia è più o meno identica a milioni di animali domestici di tutto l'Occidente opulento (cani compresi, ovvio). Dirò, per esempio, dei suoi pasti, e per piacere non dite «chi se ne frega dei pasti di Slippo», perché essi riguardano tutti voi, padroni, o se volete, compagni, dei vostri animali.
Negli anni, ho notato la crescente varietà dei cibi in scatola. All'inizio erano rozzi grumi di pollo o manzo, poi sono arrivati i paté d'anatra alle olive (come se un gatto mangiasse l'anatra e scartasse le olive per poi accompagnarle a un Martini secco) e la suprème di tacchino (per una suprème sbagliata il cuoco del Re Sole si suicidò). E poi, secondo mode umane, anche il sushi, e il tonnetto (tonnetto?) dell'Atlantico e quello del Pacifico, come se un gatto percepisse la differenza tra i due oceani, e aragosta, polpe di granchio e così via. Da chiedersi se i prodotti siano per eccitare i padroni, visto che i gatti non sanno leggere le etichette. E i prezzi ogni mese più cari. A parte qualcuna di queste prelibatezze che lui, saggiamente, piluccava appena, gli davo pollo e pesce surgelato: che si sia ammalato per la monotonia culinaria che gli infliggevo? No: s'è ammalato ai polmoni. Da quel momento è finito nel circuito veterinario, sono cominciati gli esami, ecografie con rasatura del pelo, radiografie al torace, estrazione di denti, aspirazione di liquido polmonare, flebo con siringa butterfly (farfalla: mah).
Nessuno che avesse saputo dirmi cos'avesse davvero: «Aspettiamo l'esame citologico». Eppure c'era un indizio semplice: non mangiava da tre settimane e respirava asfissiato.
Avrò speso almeno seicento euro, ma ne darei chissà quanti perché Slippo e tutti i gatti morti come lui, apparissero ai vetri di questi zoologi della porta accanto col sorriso sospeso nell'aria come il gatto di 'Alice nel paese delle meraviglie', e gli provocassero incubi notturni.