CAPITOLO 6 – Oggetti di uso quotidiano
4.1 Matite e temperamatite
Ma come si chiama la parte di matita che viene gettata quando la matita viene temperata?
Non esiste un termine scientifico preciso e, per capirne il motivo, dobbiamo ripercorrere brevemente alcuni importanti momenti di storia recente.
Nel 1973, quando la O.N.D.A. (Organo Nazionale Denominazioni e Attributi) rilevò l'obsoleto termine 'lapis' a favore dell'ormai corrente 'matita', venne emanata una circolare in cui si invitava a sostituire nei composti i due termini: così 'temperalapis' divenne 'temperamatite'. Tuttavia anche allora non si ritenne opportuno specificare la denominazione degli scarti della matita temperata.
Nel 1982 Manuele Corsi, linguista e glottologo, propose i nomi 'temperatura' o 'tempera' della matita, che non vennero adottati a causa della possibile ambiguità che potevano originare.
Furono esclusi nel 1985 anche 'segatura' e 'trucioli' perché, anche se considerati termini 'attinenti', rimandavano a fenomeni 'di più vasta scala, sia per quantità di materia espulsa che per dimensioni del legno coinvolto', tanto da rendere impossibile 'l'attuazione semiotica [cioè la comprensione dei rapporti intercorrenti tra un significante ed il suo significato, NdA]'.
E' stato così concordato che ogni Manuale avrebbe gestito come meglio riteneva le definizioni concernenti questi prodotti; il presente si rifà alla Notazione Internazionale Manuali del 1996 che, per definire 'quello che viene temperato della matita', utilizza (provvisoriamente) la variabile A, tale che A=x–y, essendo x e y rispettivamente la quantità di matita prima che venga temperata e dopo essere stata temperata.
Poste le suddette definizioni, cerchiamo di comprendere cosa intendiamo esattamente quando parliamo di temperalapis, o temperamatite, o temperini; potremmo definirli come degli oggetti, o arnesi, di varia forma e con uno o più fori conici muniti di una piccola lama affilata, impiegati per fare la punta alle matite.
L'aspetto più interessante di questi utensili risiede proprio nella forma; pertanto, li divideremo in due sottoclassi:
- temperamatite a dispersione di A.
- temperamatite a contenimento di A.
I temperamatite di tipo (a) sono caratterizzati dal fatto che l'incavo ove viene inserita la matita è ricoperto solo di metallo o plastica zigrinati, in modo da consentire una presa sullo stesso maggiormente ergonomica. Il materiale di scarto A viene quindi disperso nello spazio, se non raccolto grazie alla disposizione preventiva di un contenitore posto sul pavimento, perpendicolarmente al punto dove la matita viene temperata.
II temperamatite di tipo (b), invece, sono dotati di appositi contenitori, o sacche, integrati nell'oggetto, atti al raccoglimento del materiale A. Il vantaggio immediatamente visibile risiede nell'incredibile versatilità di questi temperamatite, che possono venire adoperati pressoché ovunque senza timore di inquinare l'area circostante; questa caratteristica ha fatto sì che tale tipo di temperamatite venisse privilegiato in sedi scolastiche, che altrimenti avrebbero vissuto, oltre alla presenza del materiale A diffuso sulle più comuni superfici quali banchi, sedie, pavimenti, la confusione generata dal continuo alzarsi degli alunni per recarsi all'apposito raccogli rifiuti ogni qualvolta si fosse verificata la necessità di temperare una matita.
D'altro canto, una tale versatilità è limitata nel tempo poiché il contenitore dei temperamatite di tipo (b) ha dimensioni ridotte e deve quindi essere sovente svuotato del suo contenuto.
Chiusi il manuale. A me sono sempre piaciute le matite. Più delle penne, che sono così plasticose, così arroganti e inanimate. Le penne studiano economia o ingegneria e ti guardano con gli occhi saccenti di quelli che non sbagliano e vogliono la tua certezza, perché una volta che hai deciso di scrivere loro non si fermano mica, scrivono.
La Bic la salvo. Ma la Bic è la matita delle penne.
Perché le matite sono più oneste, più flessibili, più calde. Sono umane nella loro delicatezza, sai che se ti cade una matita si può rompere, ma non esternamente, no. Internamente, dove avrai causato una frattura multipla nell'osso di grafite. Povera matita! E poi la matita è irregolare nel suo incedere, il tratto diventa più fine o più grosso, più calcato, più nervoso o più sognatore finché non ti accorgi che in realtà la matita non esiste, sei tu che stai incidendo il foglio con le tue emozioni, così come la spada per i grandi maestri era solo un'estensione del braccio.
La matita è tuo comare o tua amica, non devi temere che ti sia ostile al tatto, la baci e la mordicchi con gusto e assapori la dolcezza del legno e il carattere della grafite. Le matite semiautomatiche non sono matite vere, sono abomini, esperimenti mal riusciti di fusione tra le due classi così diverse di matita e di penna. Gli ingegneri e gli economisti usano queste 'matite' e le sfruttano, sono il passaggio prima della stesura a penna, quello in cui puoi sbagliare, arrabbiarti e scagliare la matita contro il muro, tanto lei non reagisce mai.
La matita la temperi. A me non piacciono molto i temperini perché non li trovi mai sulla scrivania e se li trovi devi prenderlo, infilare la matita azzeccando il buco, fare forza, perdere tempo girando, tanto tempo, mentre la matita gira e le fai male e ti cade tutto il materiale A perché dalla posizione in cui sei dovresti stendere le braccia per centrare il cestino, e intanto giri e giri e zac! ti si spezza la punta perché hai fatto cadere troppo spesso la matita e hai rotto la mina e allora devi ricominciare…. D'altra parte è brutto scrivere con una matita poco temperata, non riesci ad andare più piccolo di un tot e diventa tutto grossolano.
Ma è una frustrazione paragonabile a quella di quando non ti va più la penna nel momento più importante?
Perché la matita si consuma, come una candela, come un libro, come le cose accoglienti che fai davanti al camino mentre si consuma anche la legna.
La penna si scarica. Come un cesso.