Sui condizionali

Ho sempre pensato di non essere un grande lettore o un grande scrittore. Mi sbagliavo, sono un grande scrittore. O quantomeno potrei esserlo.
Questo mi fa venire in mente quando mia moglie mi ha lasciato.
Le dissi: «Sarei potuto essere qualcuno!»
Lei: «Chiunque POTREBBE essere qualcuno…» e se ne andò.
Almeno, PENSAVO che se ne fosse andata, da fuori della porta non riuscivo a capire se era tornata in salotto o mi stava controllando dallo spioncino.
Quello l'aveva preso da sua madre, la signora Grazia: un giorno la signora Grazia andò alla porta e vi scoprì un piccolo foro: sua figlia le aveva rubato lo spioncino.

Diceva che si sentiva realizzata con lo spioncino nuovo, perché era più dorato e più grosso di quello vecchio, che quello vecchio la faceva sentire stretta, non la realizzava come donna, quindi cambiò anche la porta d'entrata con un'altra, stesso modello ma foro dello spioncino più grande e altro colore, che si intonava di più. Diventammo così noti nel palazzo come 'i signori dalla porta d'oro'. Non era oro vero, intendiamoci: lei era allergica e quindi ne ordinò una di legno di quercia nodoso, la fece intagliare in maniera semicircolare, così si intonava con le finestre che aveva fatto diventare oblò quella volta che sentiva nostalgia del mare e dei gabbiani, e la fece dipingere d'oro, mettendo al posto della maniglia un grosso anello d'ottone. Ogni volta che bussavano temevo potesse essere Gandalf il Grigio che mi diceva «Caro amico hobbit, abbiam bisogno di te». E io: «Gandalf, non ci vediamo da una vita e ancora prima di entrare stai rompendo i coglioni??».

Ad ogni modo, quando mi chiuse fuori dalla porta – portone – molto – minaccioso – e – dorato, mi chinai a prendere la mia valigia… Che non c'era.
Essa era infatti diventata, tempo addietro, la cuccia di Jonathan, il gabbiano che aveva comprato quella volta della voglia di mare. Ora, mi sta bene che compri un gabbiano, ma quantomeno evita di scaricare in casa sacchi e sacchi di monnezza per ricreare il suo habitat ideale! Lei però diceva che così Johnny cresceva più forte e più sano e gli diede la mia valigia per farlo riposare. Quando le feci notare che i gabbiani mica c'hanno bisogno della cuccia mi rispose:
«Dove dormono i gabbiani?»
Tacqui per due giorni.
Da dietro la porta d'oro, potevo sentire Sandokan che rideva.
Lui, il nuovo lui di lei, era una specie di cabina telefonica sudata coperta di peli, di mestiere faceva quello che attacca i cartelli coi nomi delle vie (mi sono sempre chiesto chi cazzo lo facesse… Lui!), però aveva i capelli lunghi, più lunghi dei miei (quella stronza me l'ha sempre fatta pesare la mia calvizie e io «È una cosa temporanea, passerà…») e così era diventato il suo Sandokan.

Mi immagino i giochi che facevano a letto quando io ero al lavoro, lui il suo Sandokan, lei il suo tucano. Aveva un naso che apriva la porta che era ancora sulle scale. O meglio, l'AVREBBE potuta aprire se non fosse pesata 400 chili. E poi tornavo IO a casa alla sera dopo che IO avevo perso tutto al gioco (uno sporco giro di nascondini, poi una volta mi è andata male una sessione di mosca cieca e ho perso tutto) e la picchiavo col gabbiano.
Lasciai così Sandokan, il Tucano e Jonathan e me ne andai per una nuova vita felice. O meglio, SAREBBE potuta essere felice se non avessi conosciuto la Titti due giorni dopo. Ma questa è un'altra storia.

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