Non so, adesso mi sembra che stiano esagerando.
Devono essere stati dappertutto, dalla soffitta alla cantina, forse anche in quel soppalco col tetto spiovente dove non guardo mai perché ci vuole una scaletta – e lo stesso non ci arrivo -, e dentro è buio.
Avranno aperto bauli di cui avevo buttato la chiave, o forse persa in qualche trasloco, e scardinato, ma con le loro zampette abili e gentili, cassetti incastrati da grumi di polvere e scaglie di sapone.
Hanno esplorato la metà nascosta della mia casa, quella dove non vivo più. E non so proprio dove possano averla ritrovata, dato che sono sicura di averla buttata via tanti anni fa; era deformata, schiacciata, e perdeva i pezzi.
Stasera al rientro me la vedo lì in mezzo al tavolo di cucina.
La corona d'alloro della laurea, dico, ed è lucida come nuova, ghirlanda perfetta con i fiocchetti rossi ben tesi e stirati.
Che è proprio la mia lo riconosco dall'odore, c'è dentro un passaggio di aria fredda e profumata di marzo come quel pomeriggio sotto i portici ventosi, e una punta di dolceamaro di after-eight e mimose. Le foglie sono come allora, forti e orgogliose, di verde intenso coi margini pungenti, e sfiorandole con le dita mi passa dentro la vitalità di una strana importante nostalgia.
Al centro della corona c'è poi quell'altra sorpresa, e ancora non ci credo: una composizione da artisti, l'accostamento di colori, densità e bellezza.
E' una torta, una millefoglie che splende di zucchero al velo e trattiene fra gli strati frastagliati sbavature di crema color oro velato. Sulla superficie contornata di minuscole meringhe di madreperla un pasticcere di gran gusto ha scritto con la sua siringa da calligrafo, in un bel corsivo Inglese di cioccolato fuso:
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